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 Il Tiro da tre punti

Introdotto nel regolamento internazionale nella stagione '83-'84 (nella NBA nel 1979, nei college americani nel 1986), il tiro da tre punti ha via via modificato il suo impatto sul gioco insinuandosi progressivamente nell'impianto tattico della quasi totalità delle squadre e trasformandosi da elemento premiante delle capacità tecniche degli esecutori e effetto capace di aumentare lo spettacolo a ricorrente esercizio balistico.


Il passo non è stato breve, ma si è concretizzato negli anni incidendo (o alterando) sempre più sullo sviluppo delle azioni offensive e sulla struttura di numerosi sistemi offensivi. Quasi inconsapevolmente e in modo silente - ma sarà proprio così? - si è passati dall'uso all'abuso, con non pochi e inevitabili risvolti negativi.


Nei primi anni del suo impiego, il tiro da tre era oculatamente preparato per mettere i migliori tiratori da fuori nelle migliori condizioni per eseguirlo: posizione sul campo, situazione di gioco, disposizione difensiva, presidio dell'area e dei rimbalzi offensivi. I tentativi, numericamente non elevati, producevano punti aggiuntivi, premiavano sì l'abilità individuale dei giocatori, ma riconoscevano anche i giusti meriti alle squadre capaci di arrivare alla loro esecuzione sviluppando manovre organiche delle quali il tiro, cosiddetto pesante, era parte integrante, tanto come terminale delle azioni quanto come potenziale minaccia capace di aprire spiragli alternativi.


In poche parole, il tiro da tre concorreva in modo significativo alla qualità del gioco offensivo (e non solo, forzando le difese all'adozione delle adeguate contromisure).


Con il trascorrere degli anni i giocatori ci presero gusto e, allenatori consenzienti (buone percentuali di realizzazione potevano valere la vittoria), il numero di tentativi a partita si elevò progressivamente senza essere accompagnato, tuttavia, dall'auspicato aumento (e consolidamento) delle percentuali di realizzazione.


Oggigiorno - e le prime partite di campionato lo confermano - sono sotto gli occhi di tutti la distorsione prodotta dall'esasperato ricorso al suo utilizzo e gli effetti deleteri prodotti sul livello qualitativo del gioco espresso da molte squadre. Infatti, solo alcune, disponendo di eccellenti tiratori da fuori e facendo assegnamento su questa qualità, hanno nella costante ricerca del tiro dalla lunga distanza il marchio di fabbrica tattico che le caratterizza. Soprattutto perché, a fronte del numero di tiri eseguiti, corrisponde una più che decorosa percentuale di canestri realizzati.


Le altre hanno trasformato un gesto tecnico non semplice - e fatto proprio, con i risultati che si vedono, dalla quasi totalità dei giocatori - in uno, spesso stucchevole, tiro al bersaglio, anche quando a scoccare il tiro dall'arco magico non è un cecchino. Eseguendolo al di fuori di ogni logica tattica - posizione sul campo, accoppiamento dei giocatori, condizioni di libertà, ritmo di esecuzione e scarso controllo dei rimbalzi (possesso consegnato agli avversari) - si è quasi certi di prevedere e azzeccare chi tirerà da tre punti, da dove e quando.


Ne è derivato, nel tempo, un ovvio decadimento della qualità avendo sottratto, per non dire eliminato, alcune componenti essenziali dei principali e più efficaci sistemi offensivi (per esempio, carenza di gioco interno e capacità di svilupparlo, giochi a due e a tre ridotti, ecc…). E' più facile, ormai, vedere un giocatore che penetra a canestro scaricare il pallone sul compagno appostato staticamente sul perimetro anziché concludere con il tiro da sotto che ha a portata di mano barattando i due pressoché certi con gli ipotetici, e spesso mancati, tre punti. E' più facile vedere un attaccante appostato al di là della linea della passione ricevere il pallone e tirare da tre leggendone, a priori, la più che evidente intenzione, indipendentemente da ciò che consiglierebbe la lettura della situazione in essere, che non l'accurata ricerca di un tiro più sicuro frutto di una intelligente sequenza di movimenti.


Ne consegue che si assiste sempre più spesso ad una esposizione di capacità (?) tecniche, il più delle volte (leggasi percentuali di realizzazione) non premiata come desiderato. Il tutto, è quasi pleonastico rilevarlo, a scapito di quello che dovrebbe essere, per la squadra, un incremento dei punti, e per lo spettatore, occasione di, sana, eccitazione. Cosicché, pur sembrando banale, il tiro da tre diventa strumento di sconfitta quando le percentuali di realizzazione scendono a livelli scadenti, talvolta ridicoli (valga per tutti, l'esempio dello 0/11 - dopo una prima tripla messa segno da Calabria - dell'Armani Jeans nel non lontano incontro di Udine). Se le mani sono calde, tutto va bene, se sono fredde, la sconfitta abbandona l'angolo dietro il quale si nasconde e si manifesta in tutto il suo peso e significato.


Se questa analisi è verosimile, cosa fare allora? Non potendo regolamentare il numero dei tiri concessi a partita, né forzare gli allenatori (e i giocatori) ad un uso più discreto e meno avventuroso, si potrebbe portare la linea a distanza NBA o cancellarla dal campo. Nel primo caso, almeno per un po', del tiro da tre punti si approprierebbero (con le inevitabili licenze) i tiratori puri; nel secondo, si tornerebbero a vedere azioni ormai desuete (e chissà che il palpabile disinteresse dei buongustai non abbia le sue origini proprio in questo) e se ne avvantaggerebbe, inevitabilmente, il basket nostrano.


Il sasso è lanciato, l'intento è costruttivo, la speranza è di tornare a vedere un buon gioco di squadra.
Cosa ne pensate?

 

  

by Giodi

    

          

    

  

   

  

   

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