Osservandone
la ricorrenza e la frequenza con cui si manifesta, il problema
"tiro libero" sembra essere senza soluzione. Non c'è
partita in cui non si evidenzi in modo lapalissiano, tanto da
farlo ritenere ormai endemico. Dai mostri sacri (non più tanto)
della NBA - ahi loro - ai nostri ragazzini delle leve giovanili
- ahi noi - una casistica impietosa mette in mostra le carenze
di molti giocatori allorché si trovano viso a viso con quel
tiro che appare così facile - e lo potrebbe essere, o almeno
non più complesso degli altri - ma che, in realtà, si rivela
un ostacolo ostico e, per molti, insuperabile (o quasi, spesso
aggirato in modo fortuito e occasionale).
Non c'è alcun dubbio che, prima che tecnico, il problema sia
mentale. E' difficile immaginare cosa scatti nel cervello del
giocatore che, schierato sulla "linea della carità" -
mai etichetta ha assunto un significato così valido e
ambivalente -, si trova a tu per tu con il canestro. Si può
affermare, con buone probabilità di azzeccarci, che un maligno
interrupt cerebrale manda in tilt le sinapsi interrompendo o
disturbando la connessione funzionale che lega la stanza dei
bottoni, il cervello, con l'organo periferico di reazione.
Cos'è infatti, se non un messaggio elaborato e inviato
impropriamente o in modo incompleto dal cervello, che fa sì
che, al di là del mero aspetto tecnico, il pallone prenda ogni
volta strade diverse per non raggiungere l'obiettivo finale?
Né si può dar credito all'ipotesi che il giocatore,
soprattutto nei campionati professionistici o
semiprofessionistici, sia influenzato - se non in qualche
sporadico, e per questo accettabile, caso - dalla pressione
esercitata dal pubblico (urla, occhi puntati addosso, oggetti
agitati davanti al tiratore, ecc….).
Individuare la regolazione che consente di ripristinare
l'equilibrio mentale, la fiducia e le capacità di
concentrazione del giocatore che patisce questa sindrome non è
facile (ci sono in proposito varie e sperimentate strategie, fra
le quali la PNL - Programmazione Neuro Linguistica) e una
appropriata tecnica di esecuzione, ecco il secondo punto nodale,
può essere il più che benvenuto medicamento che porta alla
guarigione parziale, se non totale.
Infatti, tutto ciò non toglie che la cura non esista. Quasi
sempre uno scadente tiratore di liberi associa ad un problema di
origine mentale problemi di tipo tecnico. Come in qualsiasi
aspetto di tecnica individuale, vale a dire inerente ai
fondamentali, la padronanza, più o meno completa, del gesto è
determinante. La conferma viene non appena si presta un minimo
di attenzione alla sequenza del tiro, dal momento in cui il
giocatore prende fra le mani il pallone a quando lo rilascia. Al
di là delle personalizzazioni - ben accette quando pagano buoni
dividendi - non è raro riscontrare scorrettezze gestuali che
inevitabilmente portano all'errore (e non al tiro
"sfortunato", per favore!). Equilibrio precario del
corpo, scarso caricamento delle gambe, controllo improprio del
pallone, focalizzazione visiva imprecisa e variabile di un punto
di mira, estensione incompleta del braccio, intervento della
mano d'appoggio, assenza di "follow through", dita
racchiuse, ruotate all'esterno o all'interno: sono questi alcuni
"agenti patogeni" che incidono negativamente sul buon
esito del tiro libero. Si spiegano così i perché dei tiri una
volta lunghi e un'altra corti, che una volta vanno a destra e
un'altra a sinistra o che, peggio ancora, non toccano il ferro.
E' evidente che sulle lacune tecniche è più agevole
intervenire, che si può e si deve intervenire (anche se, da
quanto si vede, non viene fatto con la dovuta attenzione e
intensità). Allenatori e giocatori devono lavorare con impegno
e dedizione per rimuovere scorie facilmente individuabili, per
far acquisire e acquisire una tecnica di tiro accettabile, se
non perfetta, che si concretizzi in un miglioramento delle
percentuali di realizzazione, salvo assumersi la responsabilità
di un concorso di colpa deleterio per entrambe le parti e per i
risultati della squadre di cui fanno parte.
Quante partite si concludono con lievi scarti di punti? Non
poche, non è vero? Perché non intervenire là dove si può
senza fatiche sovrumane per portare a casa due punti in più?
"Elementare, Watson!" diceva Sherlock Holmes. Il caso
è, appunto, elementare, non occorrono intuizioni o trovate
geniali, bastano semplice attenzione, giusta dedizione e la
voglia di diventare (e far diventare) un giocatore migliore.
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